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Lorena Mazzonello
Referente al Project Management Domea
Il lavoro di squadra è stato assolutamente centrale nella realizzazione del progetto Domea. Fin dalle prime fasi di progettazione, è emersa l’importanza del confronto tra figure professionali diverse, ciascuna con il proprio bagaglio di competenze e il proprio sguardo sul tema della fragilità. Questa pluralità di prospettive e di idee ha rappresentato una risorsa preziosa, perché ci ha permesso di affrontare la complessità del progetto da più angolazioni, con un’attenzione centrale alla qualità della vita delle persone coinvolte.
La collaborazione tra professionisti provenienti da ambiti differenti – sociale, sanitario, amministrativo, tecnico – ha dato vita a un vero e proprio gruppo di lavoro, coeso e orientato a un obiettivo comune. In particolare, il confronto continuo si è rivelato fondamentale non solo nella fase di ideazione, ma soprattutto quando il progetto è entrato nella sua dimensione operativa: è stato necessario ricalibrare le scelte tecniche sulla base della quotidianità e dei bisogni reali delle persone.
Un ruolo chiave lo svolgono ogni giorno gli operatori che lavorano a stretto contatto con gli anziani e le persone con disabilità, ma anche chi lavora dietro le quinte, esiste un lavoro corale che coinvolge anche gli amministrativi, i sanitari, i tecnici, tutti impegnati a sostenere gli aspetti meno visibili ma fondamentali del progetto. Credo che proprio questa rete, fatta di professionalità diverse ma complementari, sia uno dei punti di forza di Domea e uno degli elementi che ne garantisce la sostenibilità nel tempo.
Dal punto di vista gestionale, uno degli aspetti più complessi del progetto Domea è stato sicuramente il fatto che si tratta di un’iniziativa profondamente innovativa, che si innesta su processi culturali e organizzativi ancora in fase di evoluzione. Questo significa che spesso ci siamo trovati ad applicare azioni e strategie che non solo erano nuove, ma che non avevano ancora un vero e proprio spazio nella normativa vigente. Tradurre in pratica scelte così avanzate ha richiesto grande impegno, capacità di adattamento e, soprattutto, un confronto continuo tra tutti gli attori coinvolti.
Un’altra sfida significativa è legata alla difficoltà di reperire personale, soprattutto se si parla di educatori, assistenti personali e figure socio-sanitarie. In questo senso, ci riteniamo fortunati ad aver incontrato professionisti che hanno creduto nel progetto e che hanno voluto mettersi in gioco per costruire insieme approcci nuovi alla cura delle persone fragili.
La coprogettazione, che è stata senza dubbio una delle dimensioni più arricchenti del progetto, ha anche messo in luce un altro tema gestionale importante: non sempre ciò che funziona sul piano tecnico si adatta automaticamente alla quotidianità delle persone. Questo ci ha insegnato che serve una flessibilità costante, la capacità di rivedere le scelte iniziali, di adattarsi e di ascoltare.
Credo che la vera sfida stia nel trovare ogni giorno l’equilibrio tra garantire una buona qualità di vita, rispettare la libertà individuale delle persone e, allo stesso tempo, mantenere un adeguato livello di sicurezza. È una ricerca continua, che richiede sensibilità, attenzione e soprattutto un lavoro di squadra ben strutturato e capace di evolversi insieme al progetto stesso.
Per quanto riguarda le persone con disabilità, conoscendole da tempo, ho potuto vedere come il lavoro iniziato tempo fa con percorsi di avvicinamento alla residenzialità abbia permesso loro di diventare sempre più consapevoli dei propri desideri ma anche delle fatiche necessarie per poterli realizzare. Hanno imparato a riconoscere e a comunicare quelli che sono i loro reali bisogni di sostegno, così come prendere delle decisioni importanti per loro riconoscendo che poi richiede impegno mantenerle.
Se, per le persone con disabilità, l’uscire di casa rappresenta una forma di emancipazione dalla propria famiglia, per le persone anziane uscire di casa significa abbandonare un luogo sicuro, che ha rappresentato una vita intera di affetti, lavoro, relazioni, sentimenti. In questi mesi, hanno “appreso” un nuovo modo di vivere la casa, gli spazi condivisi così come quelli privati, una nuova organizzazione quotidiana. Un processo sicuramente faticoso per loro.
ll cohousing, per sua natura, comporta inevitabilmente delle sfide sia sul piano organizzativo degli spazi che su quello relazionale. All’interno del progetto Domea, queste complessità sono state affrontate partendo da un principio fondamentale: “il potere di farsi casa”. Questo concetto ha guidato tutte le fasi del progetto e si è tradotto in un processo di coprogettazione attiva con i residenti, fin dall’inizio.
Non si è trattato solo di adattare degli spazi esistenti, ma di costruire insieme un modo di abitare che fosse realmente sentito come proprio da chi lo vive ogni giorno. Abbiamo lavorato sulla personalizzazione sia degli spazi privati, in modo che ogni persona potesse riconoscersi nel proprio ambiente, sia degli spazi comuni, valorizzando il senso di appartenenza e di condivisione.
Oltre alla dimensione abitativa, è stato fondamentale coprogettare anche la quotidianità: i ritmi, le modalità di sostegno, le attività condivise e il tipo di aiuto desiderato o necessario. Questo approccio ha permesso di rispettare i bisogni individuali, promuovendo allo stesso tempo relazioni significative e un clima di reciproca fiducia.
Far sentire “a casa” le persone in un contesto condiviso non è qualcosa che si impone dall’alto, ma è un processo che si costruisce nel tempo, con le persone.
Guardando al futuro, mi auguro che Domea possa diventare un modello di riferimento per molte altre realtà, perché rappresenta un cambiamento concreto e necessario nel modo in cui ci si approccia alle persone anziane e con disabilità. Il progetto ha introdotto un’idea di cura e accompagnamento innovativa, che va oltre i servizi tradizionali, puntando sulla personalizzazione degli interventi, sulla flessibilità e su un concetto di abitare condiviso che valorizza la qualità della vita.
Uno degli elementi più forti di Domea è proprio l’integrazione tra la coabitazione – che consente di costruire relazioni significative e ambienti su misura – e il lavoro al domicilio, attraverso la figura dell’operatore di prossimità, che porta attenzione, cura e presenza nei contesti quotidiani delle persone. Questo doppio intervento è, a mio avviso, la direzione da seguire: un’assistenza che non sia standardizzata, ma calata nei bisogni reali delle persone fragili, senza però perdere di vista la sostenibilità e l’appropriatezza degli interventi.
Dal punto di vista culturale, qualcosa sta cambiando. Le istituzioni, gli enti pubblici e il terzo settore stanno iniziando ad avvicinarsi in modo diverso a queste tematiche. Non è un cambiamento semplice né rapido, ma progetti come Domea dimostrano che è possibile un’altra strada.
Sul nostro territorio, Domea ha contribuito a rafforzare una rete già esistente tra ETS, associazioni ed enti pubblici, creando nuove sinergie e aprendo spazi di sperimentazione concreta. Ci auguriamo che tutto questo diventi una buona prassi replicabile, capace di ispirare altre comunità e territori, anche diversi tra loro, ma uniti dal desiderio di costruire contesti abitativi e relazionali più inclusivi.